Cultura 

La storia delle monete della “zecca tarentina”, un tesoro culturale pugliese

Si dice che l'animo umano sia naturalmente propenso alla ricerca, all'avventura e alla scoperta, e quando ciò si realizza la meraviglia di un passato lontano si manifesta in tutta la sua straor...

Si dice che l'animo umano sia naturalmente propenso alla ricerca, all'avventura e alla scoperta, e quando ciò si realizza la meraviglia di un passato lontano si manifesta in tutta la sua straordinarietà. Il passato a volte può sembrare davvero irraggiungibile e lontano per vari punti di vista: storia, cultura, tradizione, costumi. Un'esposizione museale tutta pugliese ha acceso un grande fermento nel panorama numismatico e archeologico nazionale: 214 monete, quasi tutte emesse dalla zecca tarentina (tra esse si celerebbe un "falso d'epoca", che paradossalmente rende ancora più prezioso l'insieme, oltre a due monete di Heraclea di Lucania) sono state presentate, a 68 anni dal loro ritrovamento, al Museo Archeologico Nazionale di Taranto (MarTa) il 23 Ottobre scorso, tramite una diretta Facebook. Queste monete, recuperate tramite un ligio e scrupoloso lavoro di restauro, sono state protagoniste di una lite tra coloro che le hanno ritrovate e la ragione è facilmente intuibile: qualcuno voleva consegnarle alle autorità competenti, dato l'altissimo valore storico-artistico di questo materiale numismatico (tutelato da apposite leggi dello stato), qualcun altro invece non voleva. Adesso, ai tempi del Covid-19, si possono ammirare attraverso la diretta Facebook che ha concesso di mostrare al grande pubblico, per la prima volta, queste straordinarie testimonianze della presenza magnogreca nel Sud Italia. Taranto era una delle realtà più fiorenti del periodo (V-IV secolo a.C.). Il numismatico che si è occupato del restauro e del lavoro di catalogazione e studio, il dott. Giuseppe Sarcinelli, ha concesso un'intervista al nostro giornale. Tra aneddoti sulla vicenda del ritrovamento e sulle vicende storiche che hanno interessato queste monete, il dott. Sarcinelli ha anche posto l’accento sulla piaga del recupero clandestino e del mercato illecito di materiale archeologico, che tanti danni procura al nostro patrimonio storico. - Lei si è occupato in prima persona della cura e del restauro delle 214 monete del tesoretto di Specchia, ritrovate nel 1952 e presentate dal MarTa di Taranto il 23 Ottobre scorso con una diretta Facebook. Può raccontarci la cronistoria del ritrovamento e della recentissima esposizione? "La scoperta di questo tesoretto ha delle connotazioni da romanzo poliziesco: furono rinvenute il 9 ottobre del 1952 da alcuni operai che stavano lavorando in un fondo in contrada Cardigliano, il 9 ottobre del 1952 e immediatamente suddivise tra gli operai che avevano effettuato la scoperta, nonostante le insistenze di Luigi Greco, figlio della proprietaria del terreno, a che le consegnassero alle autorità competenti. Ricevuto tale netto rifiuto, il Greco denunciò l’accaduto ai Carabinieri di Specchia, i quali sequestrarono le monete ai cinque operai. Ciro Drago, Soprintendente archeologo dell’epoca, decise, una volta conquistato il tesoretto al patrimonio dello Stato, di non procedere contro i cinque operai, colpevoli solo di ignoranza: quando però gli stessi (spalleggiati da un politico locale) cercarono di ottenere il premio che per legge spettava a chi avesse rinvenuto oggetti di interesse archeologico, lo stesso Drago decise di punirli, rinnovando la denunzia per essersi appropriati dei manufatti senza aver avuto alcuna intenzione di effettuare la loro consegna (consegna che era avvenuta solo grazie alla denuncia del Greco e al tempestivo intervento dei Carabinieri). Fu così che il tesoretto di Specchia giunse a far parte del medagliere del Museo Archeologico Nazionale di Taranto, dove è rimasto ben custodito sino ai nostri giorni, quando un progetto di collaborazione pubblico-privato tra il Museo Archeologico Nazionale di Taranto-MArTA e il LIONS Club Taranto Poseidon mi ha permesso di tirare fuori dai cassetti queste splendide monete, di restaurarle, catalogarle e studiarle, e di collaborare alla loro esposizione nelle sale del Museo. Tale attività ha visto in ogni momento la strettissima e proficua collaborazione con la Direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Taranto Eva Degl’Innocenti e con i funzionari archeologi del Museo Luca Di Franco, Lorenzo Mancini e Anna Consonni, e la attenta e appassionata partecipazione da parte della Presidente del LIONS Club Poseidon di Taranto Rossella Basile e di tutti i soci del Club: a tutti loro va la mia gratitudine per avermi coinvolto in questo progetto". - Com'è stato, per un addetto ai lavori come lei, restaurare reperti archeologici e numismatici così antichi e preziosi? "Le dirò una cosa che le potrà forse sembrare banale…ma giuro che così non è: ormai lavoro da decenni su materiale monetale, ma tenere tra le mani questi manufatti, per curarne il restauro e lo studio, è una sensazione forte e ogni volta nuova; il pensiero che le proprie mani siano le ultime in ordine di tempo a tenere in mano questi oggetti che tante altre mani, in un remoto passato, tennero in mano, scambiarono, nascosero, è davvero fonte di un’emozione unica". - Come avviene il restauro di monete così antiche? Ci sono delle tecniche particolari? Quanto tempo bisogna impiegare? "Le tecniche sono molteplici, e variano a seconda degli oggetti che si ha dinanzi, per cui possiamo dire che non esiste una moneta che sia uguale alle altre, ogni moneta richiede un intervento specifico. Pur in un mondo iper-tecnologico come il nostro attuale, possiamo dire che l’azione meccanica (con bisturi e spazzole) sia ancora quella più efficace (e, cosa più importante, quella priva di effetti collaterali per oggetti spesso assai fragili), per cui fondamentali per certi interventi di restauro sono una buona manualità e nessuna fretta". - Perché queste monete sono state esposte 68 anni dopo essere state ritrovate? "Il medagliere del Museo Archeologico di Taranto possiede decine di migliaia di esemplari monetali, tra rinvenimenti di monete singole e tesoretti come quello di Specchia (solo di questi ultimi se ne possono contare una quarantina…). Sarebbe piuttosto difficile pensare di esporre l’intero patrimonio. Tra l’altro le monete (così come pressoché tutti i manufatti antichi) richiedono, prima di poter essere esposte, tutta una serie di azioni, dal restauro, alla fotografia, alla schedatura, alla disponibilità di una vetrina dotata di particolari caratteristiche microclimatiche e di sicurezza. Quanto esposto al pubblico è solo una parte dello sterminato patrimonio custodito nei depositi del Museo, non alla vista del pubblico, ma a disposizione degli studiosi (tra l’altro, con una liberalità che è un fiore all’occhiello del Museo di Taranto)". - Ci dica di più in merito a queste monete della zecca tarentina: si sa quante monete in totale questa zecca ha battuto? Quali erano i valori delle monete previsti? Si sa quali materiali utilizzavano per la coniazione? "Taranto ha prodotto moneta dagli anni finali del VI secolo a.C. sino all’età annibalica, quando la città subisce la sconfitta definitiva da parte di Roma: i Romani traggono da Taranto 30.000 prigionieri, venduti come schiavi; la città è costretta, tra le altre cose, a cedere parte del suo territorio e a cessare la produzione di moneta propria. La storia della monetazione tarentina dura pertanto oltre 300 anni: sono stati fatti dei tentativi per calcolare, sulle base delle monete giunte sino a noi, quante monete abbia emesso la città; non dimentichiamo però che quanto noi conosciamo è soltanto una piccolissima parte di quanto fu perduto o nascosto nei secoli, e ciò rappresenta a sua volta una piccolissima parte del volume totale delle emissioni prodotte dalla città. Possiamo perciò solo dire che tale volume fu davvero elevatissimo. Taranto, come tutte le città greche, utilizzava di preferenza l’argento per produrre moneta. Il nominale più comunemente prodotto era lo statere, una moneta inizialmente del peso di 8 grammi circa, che col tempo fu ridotto a 6,60. La città produsse anche una quantità notevolissima di divisionali: dracme, dioboli, oboli, litre, ecc.: si giunge al limite di monetine dal peso di 0,2 grammi, e piccole quanto un’unghia del dito mignolo. In una fase più tarda (nel corso del III secolo) la città ebbe anche una produzione di moneta in bronzo: si tratta di esemplari di basso valore, utili soprattutto per le piccole transazioni quotidiane, ma il grosso della monetazione restava in argento. Taranto emise anche moneta in oro, di valore assai elevato, ma tali produzioni sono legate a momenti limitati nel tempo, quando si ha l’esigenza di disporre in maniera immediata di grandi quantità di denaro; momenti legati all’esigenza di dover pagare quelle truppe mercenarie di cui la città fece grande uso per difendersi dagli assalti delle popolazioni indigene, e successivamente da Roma: ciò avvenne a partire dalla seconda metà del IV secolo e sino alla definitiva sconfitta subita da Roma, alla fine del III secolo a.C". - In quel periodo storico, Taranto cercava di resistere a più riprese all'invasione romana. Da un punto di vista internazionale, sono state ritrovate nel corso della storia monete di questa zecca altrove, in modo tale da certificare la presenza di scambi commerciali? "Dobbiamo tener presente che nel corso del V secolo Taranto assurge a una posizione di preminenza, anche politica, all’interno del mondo greco dell’Italia meridionale: uno dei principali strumenti del grande sviluppo dell’economia della città è rappresentato dal suo porto, fra i più attrezzati e sicuri del Mediterraneo e principale scalo per chi giunge in Italia dal mondo greco e in genere orientale, luogo di incontri e di scambi di mercanti giunti da ogni dove. È a partire da questa fase che Taranto accresce notevolmente il suo volume di emissioni monetali: la moneta tarentina assume un assetto stabile e una tipologia costante, che le permette di essere sempre ben riconoscibile, anche in ambienti lontani dalla città che l’ha emessa. È da questo momento che sugli stateri tarentini troviamo sempre raffigurati il cavaliere al dritto e il giovane sul delfino al rovescio; tali tipologie resteranno invariate sino alla fine della loro produzione, e caratterizzano pressoché l’intero gruzzolo delle monete di Taranto presenti nel tesoretto di Specchia (211 esemplari su 214: fanno eccezione solo due stateri emessi a Heraclea di Lucania, centro della Basilicata meridionale – l’attuale Policoro – fondato proprio da Taranto, e una strana moneta, dal peso e dai tipi ravvicinabili alle dracme di Taranto, ma prodotta da ben altra mano, forse una falsificazione o una imitazione di ambito locale messapico). Bisogna però dire che, pur essendo le monete di Taranto caratterizzate da questa rigidità nella scelta dei tipi, presentano una tale estrema ricchezza e varietà nelle posture, negli atteggiamenti, nell’abbigliamento, nella presenza di oggetti tra le mani o come simboli nel campo della moneta, da lasciare davvero abbagliati". - Come si fa a riconoscere, specialmente quando si ha a che fare con monete così antiche, un esemplare autentico da un falso? Ci sono dei procedimenti precisi oppure variano caso per caso? Più in generale, come ci si può accertare dell'autenticità di una moneta? "Se un tempo le falsificazioni erano prodotte con strumenti e tecniche abbastanza grossolani, per cui era piuttosto semplice individuare una moneta falsa, oggi le tecniche in uso si sono molto raffinate, per cui il riconoscimento di esemplari falsi comporta in molti casi una sorta di battaglia di intelligenza con i falsari. Per fortuna, se essi possono disporre di metodologie avanzate di produzione, noi possiamo a nostra volta disporre di armi, quali ad esempio le analisi fisiche non distruttive, che permettono di riconoscere l’uso di tecniche di produzione o di metalli assolutamente non in uso nel mondo antico. Devo però aggiungere che in molti casi uno degli strumenti ancora in uso rimane il “naso” dello studioso, la sua sensibilità affinata grazie al contatto diretto con migliaia e migliaia di monete". - Quanto sono frequenti i ritrovamenti di materiale numismatico così antico? "La ricchissima storia del nostro Paese ha lasciato un’infinità di testimonianze, che offrono agli studiosi sempre nuovi dati e documenti perché possiamo ricostruire il lungo e variegato percorso che ci ha portati sino ai nostri giorni. Spesso gli scavi e il rinvenimento casuale di monete singole o in gruppo (è il caso appunto del tesoretto di Specchia) ci offrono nuovo materiale. Specie negli ultimi decenni, purtroppo, si assiste sempre di più al saccheggio dal nostro patrimonio da parte di pseudo appassionati privi di scrupoli e pronti a sconvolgere le tracce del nostro passato alla ricerca del bell’oggetto o della bella moneta, da immettere sul mercato clandestino, da contrabbandare all’estero perché alimentino il sempre più fiorente traffico degli oggetti archeologici, fonte di immensi guadagni illeciti. La loro azione di spoliazione sulle aree di interesse archeologico, sulle vestigia del nostro passato (condotta spesso con l’ausilio di strumenti sofisticati, come i metal detector) fa si che quello che una volta era il rinvenimento casuale di qualche moneta si sia oggi trasformato nel saccheggio e nella distruzione sistematici del nostro territorio, della nostra storia". Giuseppe Sarcinelli è dottore di ricerca in Storia antica, studioso di storia della moneta, in servizio presso l’Università del Salento. Le sue aree di interesse spaziano dalla numismatica antica (rinvenimenti e emissioni da Siris-Herakleia e Metaponto in Basilicata), a quella romana (monete provenienti dagli scavi di Aquinum, Fabrateria e Costigliole d'Asti) e medievale [reperti di monete dagli scavi di Terravecchia di Grammichele (Catania), Siponto, Fiorentino, Tertiveri (Foggia), Lecce, Taurisano, Castro, Ugento, (Lecce)]. Attualmente partecipa alla pubblicazione del corpus di monete italiane medievali e moderne del British Museum. Collabora con il Museo Archeologico Nazionale di Taranto-MArTA, attraverso il restauro, la schedatura e lo studio di alcuni tesoretti monetali custoditi presso il medagliere del Museo. È coordinatore per l’Italia meridionale del progetto “FLAME” (Princeton University, U.S.A., responsabile professor Alan Stahl) per lo studio dell’economia altomedievale in ambito mediterraneo. È responsabile del Laboratorio di Studio e Documentazione Informatizzata delle Evidenze Numismatiche presso l’Università del Salento. Thomas Invidia

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