Salute e Benessere Prolasso, stop asporto dell’utero. Intervista al professor Longo, la sua tecnica rivoluzionaria di Gaetano Gorgoni Il prolasso dell’utero e della vescica è un problema che affligge milioni di donne. Il professor Antonio Longo è un chirurgo di fama internazionale (president... 20/02/2020 a cura della redazione circa 5 minuti di Gaetano Gorgoni Il prolasso dell’utero e della vescica è un problema che affligge milioni di donne. Il professor Antonio Longo è un chirurgo di fama internazionale (presidente onorario della Società Italiana di Colonproctologia) e Direttore del Centro Europeo di Patologie Pelviche, prima a Vienna, adesso in Italia. È diventato famoso prima per una tecnica innovativa indolore sulle emorroidi, tecnica Longo, e successivamente per la tecnica POPS, che corregge il prolasso di utero e vescica senza asportare l’utero. L’utero va asportato solo nei casi di carcinoma o di fibromatosi importante. L’utero prolassato è quasi sempre perfettamente normale, sono i legamenti che lo sostengono che hanno ceduto ed è su questi che bisogna intervenire per riportarlo nella sua sede naturale, senza menomare le pazienti: fisicamente, sessualmente, funzionalmente e psicologicamente. L’utero è un organo importantissimo, che non serve solo per fare figli, ma ha anche un ruolo anatomico e funzionale: è per questo motivo che scegliere di salvarlo può migliorare la qualità di vita di tante pazienti. Anche per la donna in menopausa l’utero è utile, come ci spiega nell’intervista di oggi il luminare della chirurgia degli organi pelvici. INTERVISTA AL PROFESSOR ANTONIO LONGO La sua tecnica “Pops” permette di salvare l’utero, di non asportarlo in caso di prolasso (quando appare come una palla nella vagina). Tanti chirurghi oggi la utilizzano e si ispirano alla sua tecnica. Cosa comporta il prolasso dell’utero? “Premetto che l’utero, la vescica ed il retto sono i tre organi pelvici ed hanno strettissime correlazioni anatomiche e funzionali. Infatti ho dimostrato, con indagini strumentali, che al prolasso dell’utero si associa sempre il prolasso della vescica, detto cistocele, ed il prolasso del retto. Pertanto le pazienti hanno quasi sempre disturbi urinari, fino all’incontinenza, e spesso anche stitichezza, oltre naturalmente difficoltà o impossibilità di avere rapporti sessuali. Tra gli organi pelvici, l’utero ha i più robusti legamenti di sostegno ed a esso sono strettamente connessi la vescica davanti ed il retto dietro. Pertanto quando prolassa l’utero si trascina in basso vescica e retto. Tutti gli interventi messi a punto dai ginecologi trascurano di sospendere anche il retto ed è questo, a mio parere, il motivo dei disastrosi risultati con il 40-60% di recidive riportate ed è per questo che tendono a rinviare l’intervento, che invece è vantaggioso correggere quanto più precocemente possibile”. Quali sono le cause riconosciute del prolasso dell’utero e quante donne ne soffrono? “Comunemente viene chiamato in causa il parto. Io aggiungo il parto stimolato e lo stress psichico prolungato che provoca un ipertono degli sfinteri anali e vescicali e induce le pazienti a sforzi eccessivi per la defecazione e la minzione. Non a caso la patologia è più diffusa nei paesi più ricchi. In Europa ed America ne soffrono il 30-40% delle donne che hanno partorito, e diventa sempre più frequente nelle giovani donne, specialmente anoressiche. Al di sopra dei 50 anni ne soffre il 50% della popolazione, ma meno della metà ricorre al medico, appunto perché informate dei scarsi risultati e perché non vogliono asportato l’utero”. Ci spiega il principio originale della Sua tecnica? “È molto semplice: l’utero prolassato è quasi sempre perfettamente integro, sono i legamenti che lo sostengono che hanno ceduto ed è questi che bisogna ricostituire. Inoltre, come detto, a quello dell’utero si associa il prolasso della vescica, che spesso è preminente ed il prolasso del rettale. Bisogna pertanto correggere il prolasso di tutti e tre gli organi pelvici”. Abbiamo letto che è la tecnica meno invasiva e meno traumatica per le pazienti, ci spiega sinteticamente in cosa consiste? Come si esegue? “La tecnica consiste nel ripristinare i legamenti utero- vaginali rotti, con una striscia di 1,5 cm di rete biocompatibile, tale retina, chiamata mesh, viene fissata ad utero, vagina, vescica e retto che vengono tirati su e fissati alle pareti laterali dell’addome. In pratica ripristinano, così come in natura, i legamenti rotti. L’intervento viene eseguito in laparoscopia, quindi con tre incisioni addominali di 1 cm. Ovviamente si possono associare, quando necessario, piccole varianti”. Quanto tempo dura questo intervento innovativo e quanto tempo ci vuole per il recupero? Le recidive sono frequenti? “L’intervento dura mediamente 75 minuti, è applicabile con una variante a donne che hanno avuto asportato l’utero. Chiediamo alle donne di non fare eccessivi sforzi per 10 giorni, che è il tempo di consolidamento della mesh. Dopo 10 giorni possono riprendere tutte, dico tutte, le attività. Le recidive sono una ogni cento interventi, che rispetto al 50-60% delle tecniche tradizionali sono niente”. Ci spieghi tutti i vantaggi di non asportare l’utero e perché le donne ci tengono tanto. “Non asportare l’utero rende l’intervento meno rischioso e si evitano tutte le complicanze correlate alla isterectomia. L’utero separa la vescica dal retto e dal sigma, pertanto impedisce alla vescica di distendersi abnormemente e gravare sulla vagina e sul retto ostacolando la defecazione. Allo stesso modo impedisce al sigma di gravare sulla vescica impedendole di distendersi con necessità di urinare frequentemente. Dal collo dell’utero partono verso la vagina rami nervosi ed arteriosi, quindi asportando l’utero, questi rami vengono sezionati e si perde parte della sensibilità vaginale ed un assottigliamento delle pareti per scarsa irrorazione ematica. Per tale motivo le donne vivono l’isterectomia, a mio parere giustamente, come una menomazione, principalmente sessuale. Pertanto se si può evitare questo trauma, fisico e psichico, è deontologicamente corretto non mutilare le donne. Inoltre, molte donne sono in età fertile e non è giustificato togliere la possibilità di avere figli”. Ma se è possibile salvare l’utero, perché alcuni medici continuano ad asportarlo con una chirurgia molto aggressiva? Si può fare qualcosa per sensibilizzare tutti i medici e i ginecologi italiani? “Per fare la POPS serve competenza su tutti e tre gli organi pelvici, bisogna rivedere tanti concetti e questo costa impegno e fatica. Per sensibilizzare i medici ed i ginecologi bisogna informare le donne che esiste una chirurgia nuova, meno aggressiva, con un recupero rapido e che non le mutila asportando l’utero. Se bene informate, le donne si rivolgeranno ai chirurghi che hanno a cuore la loro integrità psico-fisica”. In pratica quello che sta facendo Lei con questa intervista, è quello che dovrebbero fare i Suoi colleghi e tutti gli organi di informazione che dichiarano di avere a cuore le sorti delle donne. In alcuni paesi i movimenti femministi si sono attivati. Aspettiamo che accada anche in Italia. ggorgoni@libero.it
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