Cultura Il 16 aprile è il giorno in cui nacque il termine “Guerra fredda”: intervista al prof De Luca Bernard Baruch, politico americano, il 16 Aprile 1947 coniò il termine "Guerra Fredda". Questa espressione è stata ripresa e trasmessa al grande pubblico dal giornalista Walter... 16/04/2020 a cura della redazione circa 6 minuti Bernard Baruch, politico americano, il 16 Aprile 1947 coniò il termine "Guerra Fredda". Questa espressione è stata ripresa e trasmessa al grande pubblico dal giornalista Walter Lippmann, autore del libro "La Guerra Fredda". Dopo la prima metà del Novecento, dominata dalle guerre mondiali e dai totalitarismi, nella seconda metà il mondo ha assistito alla rivoluzione culturale, alla rivoluzione sessuale e negli anni '60 ad una crescita economica galoppante, in Italia, derivante dalla ripartenza dell'economia (stimolata anche dal Piano Marshall). Mentre i grandi Paesi occidentali, come la Francia, l'Italia e la Germania, si medicavano le ferite, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica si spartivano come una carcassa di bue l'Europa. La cortina di ferro, secondo l'espressione di Winston Churchill, si abbattè sull'Europa Orientale e divise profondamente in due blocchi il continente. La Germania smembrata prima in quattro e poi in due, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia e Paesi dell'Est nell'orbita comunista, i Paesi occidentali della Comunità Europea nell'orbita americana. Seppur stati sovrani indipendenti, i Paesi del blocco capitalista furono attanagliati da lotte politiche intestine particolarmente evidenti e violente. In Italia, gli anni di piombo, lo stragismo e i presunti colpi di stato, furono lo scenario in cui il più grande Partito Comunista dell'Occidente, il PCI, crebbe e conquistò il consenso popolare che culminerà nel compromesso storico Moro-Berlinguer. Nell'analisi della Guerra Fredda è necessario, per capire il ruolo di avamposti fondamentali come l'Italia o la Germania Ovest, tenere in considerazione i fermenti sociali e culturali che interessarono questi Paesi. Abbiamo intervistato il Prof. Daniele De Luca dell'Università del Salento, Associato di Storia delle Relazioni Internazionali. Insieme all'esperto, abbiamo approfondito la Guerra Fredda e le ripercussioni nel mondo di oggi. Professore, il termine "Guerra Fredda" descrive lo scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che si è articolato in cinquant'anni, oppure racchiude uno scenario molto più ampio? «Il termine viene usato per la prima volta sulla grande scena pubblica nel 1947 da un giornalista americano, Walter Lippmann, che scrive un libricino intitolato "La Guerra Fredda". Proprio quell'anno, con la dottrina Truman, il Piano Marshall e il rifiuto del Piano Marshall nella conferenza di Parigi (1947), si acuisce lo scontro ideologico tra le due superpotenze, iniziato nella fase finale della Conferenza di Potsdam (1945)». Lo sbarco nella baia di Porci è uno dei punti più alti della Guerra Fredda? «Da un punto di vista militare, le due superpotenze ed i relativi alleati sono andati più vicini allo scontro rispetto a qualunque altro momento della Guerra. Da Guerra Fredda si è passati a Guerra Calda. La crisi dei missili di Cuba, ottobre 1962, i tredici giorni, mettono di fronte le superpotenze nuovamente. Nell'estate precedente, i sovietici avevano deciso di installare dei missili a corto e medio raggio sull'isola di Cuba, che è a novanta miglia dalle coste americane. Posizionare dei missili nucleari, di tale genere, voleva dire che tutto il territorio americano, escluso lo Stato di Washington, sarebbe stato oggetto di un potenziale attacco». La corsa agli armamenti, durante la Guerra Fredda, semplice definizione o utilizzo reale delle armi atomiche? «La corsa agli armamenti, paradossalmente, ha sventato la possibilità di un conflitto tra le grandi potenze. Quando si parla di conflitto, si intende un conflitto globale distruttivo. Una guerra termonucleare che avrebbe portato ad una distruzione del mondo così come lo conosciamo. Una superpotenza costruisce armi di fattura sempre maggiore e in maggior quantità in modo tale che l'altra debba rincorrere, raggiungendo "l'equilibrio del terrore". Dal '45 al '91, l'equilibrio ha permesso alla pace di sventare uno scontro nucleare». La caduta di Gorbaciov, e poi la dissoluzione dell'URSS, si è consumata nel colpo di stato oppure in una mancanza più profonda? «Non una crisi politica, ma una crisi economica ha portato in realtà alla caduta di quella superpotenza. Per tutta la durata del conflitto, l'Urss non è stata in grado economicamente di reggere il passo con il mondo occidentale e in particolare con gli Stati Uniti. Una serie di guerre, di sovvenzionamenti ai Paesi del "Terzo Mondo", avevano indebolito sempre di più l'economia statale. Il colpo di grazia è l'invasione sovietica dell'Afghanistan, iniziata nel 1979. Con l'arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca e la ripresa della corsa agli armamenti, l'Unione Sovietica nel tentativo di riarmarsi ha incrinato ulteriormente la propria forza economica. Nel mondo di oggi, con l'Unione Sovietica tramontata e con la Russia e tanti stati piccoli intorno al suo posto, lo scenario multipolare vede diversi attori in prima fila: Stati Uniti, Cina, Unione Europea (in particolare Italia, Germania e Francia), Russia. La Cina, al contrario dell'Urss, sta cavalcando l'espansione economica nel Terzo Mondo con investimenti, prestiti a pioggia e trappola del debito». Questa strategia può rivelarsi vincente per insidiare il primato economico degli Stati Uniti? «La Cina guadagna terreno da molto tempo, ha approfittato nel mondo comunista della debolezza dell'Unione Sovietica. Ha modificato la propria economia, da impostazione pianificata sovietico-maoista ad un genere capitalistico. La Cina è diventata una superpotenza per una serie di ragioni: ha sviluppato una marina, che prima non aveva, molto forte in relazioni con gli stati vicini; sta "colonizzando" l'Africa per il bisogno alimentare di sfamare la popolazione. Durante la politica maoista, le famiglie erano costrette ad avere un solo figlio. Negli anni di Xi Jimping si possono avere due figli e questo consente di aumentare drasticamente la popolazione cinese. - La politica del figlio unico è stata accantonata per consentire alle coppie, purché almeno uno dei due sia figlio unico, di generare due figli». Questa scelta rischia di minare la pace mondiale? La stabilità mondiale, l'Europa e l'Italia, devono prepararsi ad una guerra? «Assolutamente no, la Cina sceglie le proprie politiche e i Paesi europei e occidentali devono governarsi anch'essi autonomamente e adeguatamente. È auspicabile una collaborazione tra Paesi più vicini. L'Unione Europea più forte consentirebbe all'Italia di essere più forte. L'Italia è uno dei Paesi fondatori. Nessuno immagina un caposaldo dell'UE fuori dall'UE». Il recente inasprimento delle norme inerenti il "potere di veto", da parte del governo, a tutela delle produzioni e dell'economia nazionale, è un atto da "Guerra Fredda"? L'Italia ha cominciato a guardarsi da alcune nazioni fuori dall'Unione Europea. L'idea di difendere le aziende strategiche è sempre stata presente in Italia. Questo è un momento particolare ed il controllo statale è giusto che sia rafforzato». Oltre alla Cina e al consolidamento del primato globale degli Stati Uniti, quali sono le potenze emergenti nel 2020? «La Russia è tornata prepotentemente sullo scenario internazionale, ha un ruolo fondamentale in Medio Oriente e per la sua pacificazione. Gli Stati Uniti hanno abbandonato l'area e la Russia ha provveduto con la sostituzione. L'India è una potenza economica, tecnologica, ha una "Silicon Valley" estremamente avanzata». L'Italia, membro dell'Unione Europea, è ancora una potenza nell'area del Mediterraneo? «L'Italia è un tassello fondamentale della politica internazionale ed europea nel Mediterraneo. I confini, con il Trattato di Schengen, sono diventati non solo italiani ma europei. Il fronte meridionale, o fianco sud, dell'Unione Europea si estende dalla Spagna alla Grecia. Le politiche nazionali devono essere inserite, non sottostare, nel progetto europeo. Bisogna ragionare sul compromesso, la politica estera è la politica del compromesso». Thomas Invidia
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